La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

lunedì 24 aprile 2017

L'attualità scottante di Rutilio, a Lucca



Troppo rutiliani questi tempi, per parlare seppur obliquamente di Rutilio e dei suoi giorni.
Roma e i Goti, che son migranti, tema assai scomodo per il politically correct dell'accoglienza, dei traghettatori sul Danubio, con Alarico che si fa gentiluomo di campagna nelle Cronache RAI; e poi un viaggio tra rovine che certo non è quello nelle disfatte aree industriali d'Italia o di Toscana, ma insomma ... cernimus antiquas nullo custode ruinas.
Forse oggi le coste di Toscana non propongono paesaggi di rovine, piuttosto rovine di paesaggi, ma Rutilio è davvero scomodo, nelle sue frequentazioni di aristocratici esangui e di poveri contadini trasfigurati in entusiasti cultori di divinità dismesse. Un mondo al tramonto, un sentore che è nei nostri giorni, struggente ma nello stesso tempo un po' antipatico; essenzialmente, senza speranze, fatto quasi solo di passato.
E dunque, nello sfacelo di antiche istituzioni, esaltate dai vescovi della Nuova Chiesa delle Magnifiche Sorti del Web (soprattutto per loro), si tenterà di far mente locale ai paesaggi di anni milleseicento or sono.
Sfaceli antichi, sfaceli presenti: l'attualità scottante di Rutilio, viaggiatore fra rovine e sopravvissuti.

lunedì 10 aprile 2017

Cinque anni in cinque fogli















Sensibilità crescente per il patrimonio culturale e normative sempre più stringenti – seppur talora espresse in termini che richiedono alte capacità ermeneutiche – hanno fatto sì che la tutela delle testimonianze della storia antica conservate dal sottosuolo (il ‘patrimonio archeologico’) sia sempre più efficace. Chi, come lo scrivente, opera a Lucca da trentasei anni nella soprintendenza che, cambiando più volte nome e infine anche sede, è l’organo periferico dell’Amministrazione Statale incaricato di questo compito, può serenamente riconoscere di essere passato dal rovistare nella terra di risulta accumulata nei cassoni dei motocarri pronti al viaggio in discarica, per salvarne qualche frammento ceramico, come spesso accadeva nei primi anni Ottanta del secolo scorso, a seguire su Whatsapp le campagne di scavo preventive o contestuali alle opere di movimento terra, in proprietà pubblica ma anche privata, affidate a provetti archeologi professionisti. Le pagine che sul Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, per un decennio, fino alla soppressione del 2016, hanno dato conto di gran parte dell’opera di tutela condotta a Lucca e nel territorio sono testimoni, anche nell’esemplare corredo di documentazione grafica e fotografica, dell’‘eccellenza’ della scuola nata e maturata a Lucca, nei cantieri di tutela, fin dalla fine degli anni Ottanta.
Se dunque la dispersione di dati storici e di testimonianze materiali che un tempo doveva essere evitata o almeno ridimensionata con faticose peregrinazioni in città e ricognizioni nel territorio, e poi con mediazioni estenuanti, è ormai da considerare episodica, ristretta nella percentuale di inefficienza che anche i più solidi sistemi devono accettare, forse più onerosa di quanto poteva essere trent’anni fa è oggi l’altra faccia della medaglia del lavoro sui ‘beni culturali’: la ‘valorizzazione’. Termine questo in realtà improprio o riduttivo, che implica una considerazione mercantilistica del patrimonio storico, da sostituire con un artigianale ‘fare cultura’; questa sì capace di dare frutti reali, anche in termini misurabili nelle scale monetarie.
Negli anni Ottanta, in effetti, il tessuto del volontariato culturale permetteva di raggiungere capillarmente una società interessata al suo passato, ai monumenti, agli oggetti che lo facevano riconoscere e percepire come proprio; in senso inverso, proprio in questo diffuso sentire civile maturava la vivacità dell’associazionismo e la partecipazione delle istituzioni elettive alla ‘comunicazione’ – come si dice oggi – di ritrovamenti, di studi, di sogni. È difficile evitare di ripetere che quel mondo, in cui si progettavano musei comunali, si cercavano – spesso anche trovavano – fondi per campagne di scavo che vedevano la partecipazione di volontari e appassionati, e poi conferenze si susseguivano a mostre, è tramontato. Paradossalmente, la formazione di un ceto di ‘professionisti dei beni culturali’ ha coinciso con la progressiva scollatura fra società e memoria del passato;  o, meglio, dovrebbe dirsi, non la ‘memoria del passato’ in assoluto, ma la ‘memoria del proprio passato’. In effetti Egizi Impressionisti Caravaggio, e nel campo dell’archeologia dei nostri orizzonti geografici, gladiatori e ‘sangue nell’arena’ conservano o vedono accrescere il loro richiamo; ma oggi la folla che a Castelnuovo di Garfagnana dei primi anni Ottanta si accalcava, coinvolta dall’associazionismo locale, all’inaugurazione della mostra sul Mesolitico della Garfagnana è un’immagine molto più che vintage. I quindicenni innamorati (più spesso innamorate) dell’Egitto non curano di una occhiata le ceramiche degli anni di Tutankhamon trovate a qualche chilometro da casa loro.
In questa congiuntura, chi ancora crede che la conoscenza del passato che matura nella prassi di tutela non debba essere confinata agli archivi e alle cantine delle soprintendenze o di qualche magazzino sempre più malvolentieri elargito dal Comune di turno, ma ‘ricadere’ nel territorio che illumina, con l’analisi dei materiali, l’elaborazione storica, la pubblicazione a stampa – ora anche digitale – infine la concreta presentazione nella fisicità di mostre e musei di ciò che la terra ha restituito, si trova ad affrontare gli stessi paesaggi desolati nei quali si muoveva intorno al 1981 o al 1985 quando braccava i motocarri per le vie di Lucca o percorreva i campi arati della Bonifica del Bientina: «faticose peregrinazioni» e «mediazioni estenuanti», per ripetere quanto si è appena detto. Non le vie della città, o i campi, ma gli uffici degli amministratori locali – oggi sempre più spesso i funzionari in luogo degli eletti – e le sofferenze condivise con i responsabili dei musei locali. Non sempre è così, sia chiaro, ma spesso dagli incontri si esce con la consapevolezza di aver incontrato un mero assenso di facciata.
Se dunque a Lucca, nonostante l’eclissi dell’interesse per la storia del passato ‘locale’ che ha trovato, in Toscana, una triste prova nella scomparsa di riviste che avevano per oggetto proprio questo tema – le Microstorie tanto vezzeggiate fra anni Settanta e Ottanta, riferite al mondo antico o medievale – è stato ancora possibile continuare a ‘valorizzare’, con mostre pubblicazioni musei, le storie raccontate dalla terra, moltissimo si deve alla sensibilità della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca. Istituzioni che altrimenti sarebbero rimaste afone hanno trovato nel flusso di finanziamenti assicurato annualmente modo di farsi sentire, di testimoniare alle istituzioni e alla società civile che il dialogo con gli ‘organi di tutela’ non ha come tema solo la tutela, che la tutela non è monacale custodia delle memorie sepolte, ma verte anche sul presente e sul futuro, che nel passato si radicano, inevitabilmente.
La mostra Munere mortis. Complessi tombali d’età romana nel territorio di Lucca, tenuta al Museo Nazionale di Villa Guinigi di Lucca nell’autunno del 2010, ancora testimonia, nella pagina web del MiBACT (fig. 1: http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Eventi/visualizza_asset.html_269322564.html), l’inizio di un trittico di eventi espositivi che ha fatto della Casermetta del Museo – completato nel percorso espositivo in quello stesso volgere di tempo, dopo un decennale impegno finanziario della Fondazione – il palcoscenico in cui sono state ‘rappresentate’, fino al 2013, le nuove acquisizioni dell’archeologia in città e nel territorio. La concorde azione delle due strutture ministeriali attive su Lucca – per l’archeologia e nella gestione dei musei – non sarebbe stata possibile senza le risorse della Fondazione, che tanto aveva creduto e concorso al rinnovamento sia di Villa Guinigi, sia di Palazzo Mansi.
Il lineare percorso espositivo (fig. 2), integrato da pubblicazioni e dalla ‘comunicazione’ in rete, preparato per la mostra del 2010 è stato rinnovato due volte: nel 2011 presentando lo straordinario complesso della tomba ligure apuana di Vagli Sopra, con le dotazioni della Fanciulla di Vagli, scavata e restaurata grazie ancora alle integrazioni offerte dalla Fondazione ai finanziamenti del Comune di Vagli Sotto e della Soprintendenza per i Beni Archeologici; nel febbraio 2013 documentando la vita quotidiana e la storia dell’abitato etrusco della Murella a Castelnuovo di Garfagnana, punto di partenza di un viaggio nella vita degli Etruschi nelle valli del Serchio e dell’Arno (fig. 3). Se i materiali della Murella – un crocevia degli itinerari transappenninici del V secolo a.C. – possono oggi essere apprezzati solo nel volume che corredò la mostra (Gli Etruschi e il Serchio. L’insediamento della Murella a Castelnuovo di Garfagnana), oltre che nelle pagine web che puntualmente hanno corredato le mostre in Villa Guinigi (http://www.segnidellauser.it/muneremortis; http://www.segnidellauser.it/fanciulladivagli/; http://www.segnidellauser.it/etruschidellamurella), ancora grazie al supporto della Fondazione il corredo della fanciulla ligure apuana morta ai piedi del versante garfagnino delle Apuane intorno al 180 a.C. ha potuto far ritorno a Vagli Sopra, nell’estate del 2013, che ha segnato l’apogeo della divulgazione della ricerca archeologica nel territorio di Lucca.
Nel luglio di quello stesso anno, in effetti, si concludeva il percorso di tutela delle testimonianze archeologiche sepolte condiviso tra Fondazione e Soprintendenza nel grande cantiere del complesso conventuale di San Francesco. Dopo la prima fase dell’opera di restauro e recupero funzionale, nella Stecca, completata nel 2009, dal 2010 al 2013 il San Francesco veniva rigenerato e, nello stesso tempo, raccontava la storia sua e quella della città di cui, per otto secoli, è stato specchio spesso fedele. Dalla fondazione negli anni Venti e Trenta del Duecento, alle celebrazioni delle grandi famiglie cittadine – in primo luogo i Guinigi – sino al rinnovamento del Quattrocento e alle imprese edilizie degli anni della Controriforma che hanno conferito al complesso l’aspetto felicemente ritrovato e reso disponibile nell’estate 2013: questa la storia che quattro anni di scavo hanno raccontato.
Un racconto grezzo, in dati affidati a schede, rilievi, fotografie, ad una massa immensa di reperti: su questi si è concentrata la sinergia fra Fondazione e Soprintendenza, già nel momento conclusivo dello scavo, per far sì che la sinfonia dei vari strumenti potesse essere apprezzabile al pubblico dei ‘tecnici’ e a quello di chi, semplicemente, è curioso del passato della sua terra o dei monumenti che visita. Con la geniale intuizione progettuale dell’architetto Stefano Dini, e la consueta fiducia della Fondazione e dei suoi tecnici – e in primo luogo occorre rammentare Franco Mungai, con i collaboratori ‘anziani’ Angelo Paladini e Marco Lucchesi – i volumi disponibili sul tergo dell’abside del San Francesco sono stati rimodulati per divenire lo spazio in cui si potessero rivivere le vicende del San Francesco nei suoni prodotti dalla terra (fig. 4).
Un progetto di medio periodo, che ormai sta avviandosi a conclusione: l’inaugurazione del 2013 è stata segnata dal Bianco conventuale delle suppellettili da mensa con cui gli Osservanti, appena giunti a Lucca nel 1454, vollero dare l’austero segno del loro stile di vita conventuale (fig. 5); la torrida estate del 2015 ha visto raccontate genesi e metamorfosi del convento fra Duecento e Trecento, vissute seguendo nella città – idealmente – il Passo di Gentucca (figg. 6-8), la gentildonna lucchese che tanto fu cara a Dante e la cui storia si intreccia con quella del San Francesco, luogo di sepoltura dei Morla e dei Fondora (rispettivamente le famiglie di provenienza e del marito). Mentre si stendono queste pagine è ormai pronta la terza mostra, che documenterà il profondo rinnovamento del convento nei decenni di passaggio fra Cinquecento e Seicento, e le testimonianze della vita conventuale affidate alla suppellettile da mensa prodotta su commissione francescana: i Segni e simboli francescani (fig. 9). Ed è anche in preparazione il volume dedicato al momento forse più emozionante dello scavo, con le immagini della tomba scavata nella ‘cappella Guinigi’ – la chiesa di Santa Lucia – il 1° ottobre 2010 (fig. 10): la ‘Signora con l’Anello’, forse una delle mogli di Paolo Guinigi, punto di partenza, grazie all’anello d’oro con diamante e al sigillo in piombo papale che l’avevano accompagnata nella tomba, di una brillante indagine di antropologia forense che ha permesso a Gino Fornaciari di ipotizzare che in una delle tre ‘signore’ interrate ai lati dei cassoni familiari dei Guinigi si debba riconoscere Ilaria del Carretto.
Rimane da scrivere l’estremo capitolo: la vita del convento tra Illuminismo e Restaurazione, fino alla scomparsa nella città post-unitaria, una storia che vede ancor più serrato il convergere dei segni nella terra e dei documenti, e che chi scrive spera di poter raccontare ancora una volta avendo come sfondo la vivace città del tardo Settecento e del nuovo volto neoclassico. Vent’anni di ‘tutela’ fanno leggere il secolo che si conclude con la fine di Lucca come città-stato in una prospettiva ‘dal basso’, dalle cantine di edifici privati e dagli scavi nelle grandi opere pubbliche.
Non meno entusiasmante e impegnativa per l’archeologo, e foriera di preziosissime acquisizioni, è stata anche la campagna di interventi che ha preso avvio – un passaggio di staffetta – nella primavera 2013, quando alla conclusione del restauro del San Francesco si è dato inizio ai lavori che hanno innovato la vita del circuito delle mura.
Il complesso formato dall’ottocentesca Casa del Boia, dal Baluardo San Salvatore e dal torrione cinquecentesco che vi è inglobato – il Bastardo – ha visto lo splendido recupero funzionale dei volumi sedimentati in cinque secoli di storia arricchirsi delle acquisizioni archeologiche. Nuova luce per le successive trasformazioni di questo lato delle mura, e, soprattutto, occasione compiutamente colta per apprezzare nella loro fisica struttura le ‘mura dei borghi’, sin qui marginali nell’evidenza archeologica e monumentale, divenute invece singolare documento della ritrovata vitalità del Comune di Lucca dopo il ritorno della Libertas, nel 1370 (fig. 11). La documentazione integrale della trecentesca torre inglobata nel Bastardo – conservata nel percorso che, opportunamente strutturato, farebbe del Baluardo San Salvatore il più esauriente itinerario nella storia delle mura di Lucca fra Tardo Medioevo e Rinascimento – è stata presentata in un’appassionate giornata di studi nella Cappella Guinigi, ed è confluita nel volume degli atti – Le mura e il palazzo. Lucca fra Cinquecento e Seicento: un itinerario archeologico – la cui presentazione, il 9 ottobre 2015 (fig. 12), è stata occasione per informare tempestivamente il pubblico lucchese dei ritrovamenti che, con le indagini condotte in sinergia fra Fondazione, Comune di Lucca, Soprintendenza, hanno significativamente integrato il quadro delle conoscenze sulla cerchia urbana fra XII e XV secolo.
‘Vocazione alla comunicazione’, intesa come momento ineludibile della crescita culturale: questo è, dunque, il filo che serra tanti anni di collaborazione fra il San Micheletto e l’ufficio della tutela archeologica.
Se è inopportuno fare nomi, in una strategia collettiva e condivisa, di certo chi scrive non può dimenticare il personale apporto del presidente dott. Arturo Lattanzi, anche per risolvere difficoltà solo apparentemente marginali nel percorso di ‘comunicazione’; non si può dimenticare che la conclusione del percorso archeologico allestito nella sala dell’Ospedale San Luca, nel novembre 2014, conseguito con l’impegno scientifico della Soprintendenza e un considerevole sforzo finanziario della ASL 2 di Lucca, sarebbe rimasta priva di una pubblicazione che desse conto dei risultati del quinquennio di attività di tutela condotta all’Arancio. Fu grazie al contributo prontamente concesso che poté essere completato l’allestimento e dato alle stampe lo snello volume (fig. 13) che si è proposto di raccontare tremila anni di storia della Piana di Lucca attraverso i materiali esposti nel San Luca. E perché il sarcofago in piombo, d’età tardoantica, emerso ancora nel ciclo di opere connesse al San Luca, nel 2014, ormai in avanzato stato di restauro a Firenze (fig. 14), possa trovare collocazione pubblica – nello stesso San Luca, si direbbe – non resta che sperare che ancora nei tempi prossimi, seppur sempre più difficili, il dialogo fra istituzioni possa continuare, nella reciproca apertura che ha caratterizzato questi anni.

Bibliografia

Munere mortis. Complessi tombali d’età romana nel territorio di Lucca, a cura di Giulio Ciampoltrini, Bientina 2009.

Giulio Ciampoltrini, Paolo Notini, La Fanciulla di Vagli. Il sepolcreto ligure-apuano della Murata a Vagli Sopra, Bientina 2011.

Giulio Ciampoltrini, Silvio Fioravanti, Paolo Notini, Consuelo Spataro, Gli Etruschi e il Serchio. L’insediamento della Murella a Castelnuovo di Garfagnana, Bientina 2012.

Bianco conventuale. I servizi da mensa del San Francesco in Lucca fra XV e XVI secolo, a cura di Giulio Ciampoltrini, Lucca 2013.

Il passo di Gentucca. Il San Francesco di Lucca nel Medioevo: un itinerario archeologico, a cura di Giulio Ciampoltrini e Consuelo Spataro, Lucca 2014.

Anamorfosi di un paesaggio. Gli scavi nell’area dell’Ospedale San Luca e la storia della Piana di Lucca dagli Etruschi al Novecento, a cura di Giulio Ciampoltrini, Pisa 2014.

Segni francescani. Il complesso conventuale di San Francesco in Lucca fra Cinquecento e Settecento: un itinerario archeologico, a cura di Giulio Ciampoltrini e Consuelo Spataro, Bientina 2015.

Le mura e il palazzo. Lucca fra Cinquecento e Seicento: un itinerario archeologico, a cura di Giulio Ciampoltrini, Bientina 2015.

Giulio Ciampoltrini, La ‘Signora con l’Anello’. Il complesso conventuale di San Francesco e Lucca nell’autunno del Medioevo (1370-1490): un itinerario archeologico, in corso di stampa.

Didascalie alle figure.

Fig. 1. La pagina web per la mostra Munere mortis di Lucca nel sito del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Fig. 2. La mostra Munere mortis nella Casermetta del Museo Nazionale di Villa Guinigi in Lucca.
Fig. 3. La mostra Gli Etruschi nelle valli del Serchio e dell’Arno nella Casermetta di Villa Guinigi.
Fig. 4. Gli spazi espositivi per l’archeologia del San Francesco nell’area absidale della chiesa.
Fig. 5. La mostra Bianco conventuale: veduta dell’allestimento negli spazi espositivi del San Francesco.
Fig. 6. Il passo di Gentucca: copertina del volume per la mostra negli spazi espositivi del San Francesco.
Fig. 7. La mostra Il passo di Gentucca: veduta dell’allestimento.
Fig. 8. La mostra Il passo di Gentucca: altra veduta dell’allestimento.
Fig. 9. Boccale con stemma francescano e data 1713 dallo scavo del complesso conventuale di San Francesco.
Fig. 10. La Signora con l’Anello: copertina del volume.
Fig. 11. Lo scavo del Bastardo/Baluardo San Salvatore: veduta.
Fig. 12. Locandina dell’incontro Lucca, le mura, l’archeologo, Cappella Guinigi, 9 ottobre 2015.
Fig. 13. Anamorfosi di un paesaggio: copertina del volume per gli scavi dell’area dell’Ospedale San Luca.

Fig. 14. Antraccoli, lavori per la viabilità di accesso all’Ospedale San Luca: sarcofago in piombo in corso di scavo.

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