La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

mercoledì 23 dicembre 2015

Il passo di Ilaria: sogni gotici di fine anno (per chi attraversa il Baluardo)



Si guarda all'autunno, nell'inizio d'inverno, seppur con qualche colore di primavera, e ai giorni d'estate, quando la torre esagona, svettante di mattoni freschi di fabbrica apparve nella terra del Baluardo e all'ottobre, che fu narrata nella sua storia cantata dalla terra.
E ora che chi sottopassa l'arborata cerchia, uscendo sulla sinistra, entrando sulla destra, a piacere, mira il magico esagono, uscendo da una luce per ritrovarne un'altra, nell'anno del passo di Gentucca, in verde e nero, lieve s'affacci il passo di Ilaria, con i gotici colori di Tommaso da Modena, e le gotiche bellezze delle sua infinite vergini del Martirio di Sant'Orsola.

domenica 29 novembre 2015

Le geometrie dei colori del cielo

Andirivieni di strati cassette storie, segni francescani e scodelle colorose, con qualche girandola, il vortice che alla fine si appalesa, e stilizzati fiori, bicromi o acromi, dopo il rigore del bianco conventuale.
E fra questi, con la zaffera di Toscana, le informali geometrie di Valenza, arabeschi ghirigori di memoria medievale, nel Quattrocento avanzato, si direbbe.
Loza azul per la mensa francescana di Lucca, il cielo e le acque del Mediterraneo nell'autunno del Medioevo; e poi, finita la zuppa, alzar la testa a rimirare Baldassarre di Biagio che sparge sulle pareti i sapori del Rinascimento.

sabato 7 novembre 2015

Il cavallo senza cavaliere

Tre frammenti in tre US (la moltiplicazione e la divisione), tre mesi o forse più di scavi, il retro di un convento, per ricomporre da masse infinite di piattelli e scodelle e da maldischiena per scassettamenti multipli ed iterati per tre anni, un terzo di piatto. Montelupo, decenni avanzati del Seicento, anni di peste di promessi sposi di bravacci. Ma anche di qualche santo.
Cavallo simpatico, grosso, occhioni languidi, paesaggi dei colori surreali verdegialloblu del protobarocco straniato dei contadini di Toscana, il pop e il plebeo degli anni del Furini, un altro mondo ...
Ma grande è la metafora, suprema, i tre frammenti tre e gli altri dieci chissà dove sono finiti, per l'incedere del cavallo biondo, mantello sauro, o baio, diranno gli ippologi, forse; e senza cavaliere.

sabato 31 ottobre 2015

La Vergine di Granada (a Lucca)

Da terra di morti con fatiche e passioni infinite, da grumi che si dissolvono nella curiosità dell'archeologo, riappare una storia lucchese del Settecento, seconda metà, segni tardobarocchi di Spagna tradotti nel cesello romano (dichiara l'esergo), certo da stampe di devozione.
Nuestra Señora de las Angustias de Granada, una dopo l'altra lettere ritrovate dichiarano l'immagine, e Google risolve il 'chi è' in un volo di battute. La Vergine delle Angosce, o come si abbia da tradurre, divenuta Vergine della Consolazione per chi si fece seppellire in San Francesco, negli anni dell'Illuminismo che per lui dovevano essere soprattutto di sofferenza, il Cristo Deposto sul grembo della Madre, la Croce, e gli Angeli.
Immagine splendida, appena appena consunta dalla devozione, per il giorno.


martedì 6 ottobre 2015

I colori di Marti (per Daniela Pagni, qualche giorno dopo)




Si dovevano ritrovare i colori di Marti, novembre 2002, cielo disperatamente azzurro e il rosso fulgido del mattone pisano, per Daniela, che l'ultimo giorno di settembre se ne è andata, forse nel suo stile, chissà.
E nel volgere di una telefonata, Ruggero e le condivise amicizie e le condivise passioni e i condivisi lutti, nel segno dell'azzurro di Marti e della Terra dei Quattro Fiumi, sogno dissolto, tutto ritorna.
Balbata e la via romana, sognata genialmente, ogni segno della storia nella terra fra Chiecina e Ricavo, ma anche oltre, Scannicci e gli Etruschi e le Melorie, la ricerca del muro del Bastione, la sua storia che solo Monica e le sue amiche potevano chiarire, ma Augusto e Ruggero e altre amiche raccontarono, e poi la via e la fornace, i giorni di Varramista e di Montopoli, gli Etruschi della Granchiaia, il Bronzo Finale di Monte Formino e l'enigma del Priapo, un po' risolto, ma non tanto da soddisfare la curiosità di Daniela, la sua sete di sapere. Sempre pronta a porre due nuove domande per ogni risposta data, e a dubitare di questa. E le telefonate infinite, i perché e i percome, sempre pronta a fare da regista ad operazioni impossibili. Perché nulla trovava impossibile alla sua passione.
Il magico verde dell'autunno, nel sole che guarda lontano il mare, il campanile di Marti, il rosso del Bastione e il rosso della Pieve. Nov 2002, dice la stampa.

venerdì 25 settembre 2015

La città di Gentucca (un po' dietro l'angolo, in San Francesco)



Si deve scendere in basso, nel Giudizio Universale di Deodato, per trovare, dannati a destra ed eletti a sinistra – re vescovi abati monaci profeti e quant'altro – il popolo della città di Gentucca, nudi cadaveri, resurrezione della carne da discoverti avelli, casse viste per i Morla, un po' dopo. E anche defunti abbigliati, vesti perse nella terra se non per i fili del damasco e i maspilli di bronzo; rispetto per fanciulli troppo presto sottratti alla città forse non più di Gentucca, in quegli anni, ma dei Signori e dei Pisani.
Dalla terra, come gli uomini e le donne della città di Gentucca, la fatica degli scavi e l'impegno degli archeologi fa riemergere, narrate in pagine 144 tutte a colori, benignamente offerte ai pellegrini in San Francesco, storie del Trecento, voltato l'angolo, nel secondo chiostro.

sabato 19 settembre 2015

Storie di piombo, storie di carta





Dall’estate del 2014 è in corso un impegnativo intervento di ‘archeologia preventiva’ nell’area in cui è in corso di completamento il segmento orientale della viabilità d’accesso all’Ospedale San Luca, fra San Filippo e Antraccoli.
La fitta sequenza di ritrovamenti avvenuti nell’area dell’Ospedale – presentati nel percorso espositivo allestito nell’atrio oltre che nel volume Anamorfosidi un paesaggio. Gli scavi dell’area dell’Ospedale San Luca e la storia della Piana di Lucca dagli Etruschi al Novecento – ha infatti imposto l’apertura di una serie di saggi e il successivo scavo sistematico, tuttora in corso, delle presenze archeologiche individuate, come premessa imprescindibile alla costruzione della strada.
Lo scavo archeologico è condotto con la direzione scientifica della Soprintendenza Archeologia per la Toscana, ed è affidato al gruppo di lavoro selezionato dal Comune di Lucca, diretto da Alessandro Giannoni, con la collaborazione di Elena Genovesi, Ilaria Rinaldi, Enrico Romiti e il prezioso supporto di uomini e mezzi del Centro Pavimentazioni Stradali. Gli oneri dello scavo sono interamente a carico del finanziamento del lotto stradale.

Le infrastrutture di servizio, le opere agricole, i sepolcreti che sono in corso di scavo da ormai più di un anno si stanno profilando con particolare consistenza, e integrano in misura significativa le evidenze archeologiche già messe a fuoco nella vicina area dell’Ospedale. Non è mancata la sorpresa, tuttavia, quando si è iniziato lo scavo di due tombe d’età romana venute in luce nella prima fase delle indagini e sotto la protezione detta ‘a cappuccina’ – formata da tegole poste a 45° – di una di queste è affiorato un sarcofago in piombo.
L’impiego di questa particolare classe di contenitori funerari non è raro, in assoluto.
La pratica di proteggere le salme affidate al terreno collocandole in una cassa formata da lamina di piombo opportunamente ripiegata e saldata, sigillata da un coperchio costruito nello stesso modo, fra III e IV secolo d.C. si diffonde infatti nelle province occidentali dell’Impero Romano dal Medio Oriente, dove era già ampiamente attestata in Siria e in Palestina, anche con una produzione arricchita da decorazioni. L’uso è citato anche in alcuni casi di sepolture di martiricristiani delle persecuzioni degli anni intorno al 300 d.C. e vi si ricorrevaanche quando si progettava di trasferire la salma in luoghi remoti da quellodella morte, data la protezione garantita dal contenitore in piombo – un po’ come le casse zincate dei giorni nostri. Nelle province occidentali dell’Impero Romano un recente censimento registra più di 600 casi, fra Spagna, Francia,Belgio, Gran Bretagna, e anche nell’Italia Settentrionale non mancano attestazioni, seppure meno frequenti. A Roma e nell’Italia peninsulare, invece, i ritrovamenti di sarcofagi in piombo sono rarissimi, tanto che lo scavo di due esemplari a Gabi, nella campagna romana, ha suscitato un notevole interesse mediatico.
In Toscana la pratica era sin qui addirittura sconosciuta, se non per antiche e spesso enigmatiche o ambigue memorie di ritrovamenti di sarcofagi in piombo. Fra queste spicca la citazione del ritrovamento di un contenitore in piombo, avvenuta nel 1477 fra Firenze e Fiesole, nell’area sepolcrale menzionata in opere manoscritte di umanisti soprattutto per il ritrovamento dell’iscrizione della Remnia Primigenia, una ‘fabbricante di corone’.
I pochi dati sin qui disponibili confermano che la tomba con sarcofago in piombo dovrebbe essere datata intorno al 400 d.C. Il ritrovamento nello scavo di Antraccoli-San Filippo, quindi, getta nuova luce su un periodo – la Tarda Antichità, cioè gli anni compresi fra il 300 e il 500 circa d.C. – in cui Lucca era divenuta una piazzaforte sullevie che dall’Italia Settentrionale portavano a Roma, disegnando un sistema stradale che per molti aspetti anticipa la medievale Via Francigena. Si può immaginare che siano state le necropoli delle città dell’Emilia da cui partiva la strada transappenninica che si concludeva a Lucca ad offrire il modello, giacché è proprio questo territorio a presentare, per il momento, la massima concentrazione di sarcofagi in piombo in area italiana.
La rimozione e il trasporto del sarcofago sono stati realizzati secondo il progetto messo a punto da Stefano Sarri, del Centro di Restauro della Soprintendenza, che curerà anche l’apertura della cassa e il successivo restauro.
Ovviamente è nei progetti che il ritrovamento vada ad arricchire il percorso espositivo nell’atrio del San Luca, aperto in veste provvisoria nel novembre 2014, e che verrà prossimamente integrato con nuovi reperti, che ne faranno un vero e proprio museo archeologico di questo lembo del territorio lucchese.

venerdì 11 settembre 2015

Chiare e fresche acque del Serchio (ritorno a Bacciano)



Quanti anni, 16 17 18, per ritornare a Bacciano, guglia di pietra con vista fiume e accesso al ponte, magica immagine di acque gorgoglianti sulle ghiaie del Serchio nelle fotografie perfette di Paolo con Silvio.
Casetorri di signori di ponti e di strade, che arrotondavano con coniazioni di comodo, albergavano e taglieggiavano viandanti sulle vie che dal fiume vanno al mare (alla via Francigena, si decanta).
Nella luce di acque che sfiorano pile di ponti medievali, quiete nell'ombra, anche le pentole infinite di Isola Santa, zuppe minestre e un po' di spezzatino per prepararsi all'ascesa al Mosceta, rifocillarsi in discesa, divengono poesia di giorni di Garfagnana, A.D. 1200 (come si direbbe oggi).

lunedì 31 agosto 2015

Priapo con comparanda

Cinque anni, un po' di fatica, molti dubbi, e poi cosa c'è da perdere, e l'erudizione del Settecento travolta dai vantaggi del web, da bei volumi di mostre elleniche, con fallici altari di Tracia, si trasforma in pagine da leggere in rete, ché la carta ha da essere risparmiata.
Ma per i giorni vissuti fra Chiecina e Ricavo, per gli amici, che ora sono tutti stanchi, poche parole.

giovedì 20 agosto 2015

Gentucca in San Francesco, tra il Poeta e i cavalieri di Germania (molto di moda)




Ritornano i giorni di Gentucca, in San Francesco, passeggiate nell'archeologia di una città fra Duecento e Trecento, passioni senili e giovanil baldanza.
E giacché son di moda, come nel Duecento e nel Trecento, i cavalieri tedeschi, folgorante braccio ghibellino contro i fanti di Firenze e di Lucca a Montaperti, dono (a caro prezzo) di signori di Lombardia al Signore di Lucca nel giorno dell'Altopascio, il passo di Gentucca, lasciato il dolce conversare con il Poeta, trascorso qualche anno dopo, si muove verso il nido della tirannide di Castruccio, torri e mura per assicurare la signoria sulla città ostile, invenzione (forse) del duce lucchese, esempio per Visconti Gonzaga e Terre d'Este, il Castello in Città.
Marmo di tombe di cavalieri, un po' impolverate, un po' obliate (ma non troppo: messe in un angolo della memoria), molti cavalieri venuti di Germania, qualche sodale d'Italia, nella fortezza croce dei Lucchesi, affidata a Pisani del contado, buoni a rompere un po' di maiolica arcaica rigorosamente made in Pisa. Niente da lasciare alla città dominata, se non l'odio e un po' di cocci rotti, reliquie religiosamente raccolte seicentocinquant'anni dopo. Tracce dell'Augusta, il segno di potere di Castruccio, l'aquila che ancora veglia sulla Porta a San Romano, con il sonno di ferro dei cavalieri.
E incontri di gentildonne e poeti, clangore di armi, immagini di tombe e segni della terra in San Francesco, monocromi e bicromi, da lumeggiare con i colori del Codex Manesse, bel regalo di Heidelberg, visto che la Germania è di gran moda. Per Deodato e le sue languide damigelle altri giorni.

venerdì 7 agosto 2015

Il rifocillo di Gentucca (in verde e nero, in San Francesco)



Vesti sfarzose, damascate, figurate, volti severi, gentildonne di Giudea travestite da Lucchesi dell'anno 1300, e come loro s'immagina l'interlocutrice preziosa di Dante, la guida attesa e vagheggiata nell'archeologia in verde e nero di Lucca, nella Stanza di Gentucca del San Francesco. Poesia di espressioni perse nel tempo, ambigue, come le parole di Buonagiunta nei versi del Purgatorio.
E brocche e coppe del rifocillo della puerpera attendono – non nel giallo d'oro che emula il bronzo delle donne di Deodato ma in verde e nero – il viandante del tempo, appena dietro l'abside della chiesa.

mercoledì 5 agosto 2015

Gentucca e le eleganti lucchesi del Trecento (tra Deodato Orlandi e il verde e nero)


Generosi contributi per Wikipedia, per trovare ricca di colori l'opera migrata di Deodato Orlandi, immagine di Lucca e dintorni degli anni di Gentucca, di suo suocero Lazzaro Giaro per gli amici, il Fondora, anfitrione di Dante (di certo). Tutta la società del primo Trecento, nelle luci dei tessuti policromi, di una tavoletta a Berlino, e il pallore estenuato di Gentucca e della silente mostra nel San Francesco si fa calore di vita anche nel neroverde della maiolica arcaica.

martedì 4 agosto 2015

Il vento dell'estate a Fossa Nera di Porcari





Luci e vento d'estate a Fossa Nera, un giorno d'agosto, il suono del bosco di pianura, l'ombra esigua e tenace da cui escono rigenerati antichi ruderi. Il sottile suono dell'Auser, per rari cartelli e paesaggi che rinnovano i versi delle Georgiche.

martedì 21 luglio 2015

Gentucca e il San Francesco di Lucca. L'inizio di una storia








Premessa


Il passo di Gentucca.
Un itinerario archeologico
tra il San Francesco e Lucca intorno all’anno 1300

El mormorava; e non so che «Gentucca»
sentiv’io là, ov’el sentia la piaga
de la giustizia che sì li pilucca.

«O anima», diss’io, «che par sì vaga
di parlar meco, fa sì ch’io t’intenda,
e te e me col tuo parlare appaga».

«Femmina è nata, e non porta ancor benda»,
cominciò el, «che ti farà piacere
la mia città, come ch’om la riprenda. ...»

(dante, Commedia, Purgatorio, XXIV, vv. 37 ss.)

Nella primavera del 2013 i lavori di restauro e recupero funzionale del complesso di San Francesco erano ormai alla conclusione, con l’obiettivo – agevolmente rispettato – di giungere all’inaugurazione e alla restituzione alla città del monumento il 6 luglio. Anche lo scavo, con una straordinaria sequenza di campagne iniziata fra 2004 e 2005 negli Orti, proseguita nella Stecca, estesa infine dal 2010 pressoché all’intera area conventuale, si stava avviando a conclusione, con le indagini nel ‘San Franceschetto’ e negli ambienti attigui, da poco resi disponibili[1].
Appena entrati nell’ambiente attiguo al ‘San Franceschetto’ – la chiesa eretta da Lazzaro Fondora per la sepoltura sua e della sua famiglia, nel 1309, e dedicata alla ‘Beata Vergine e a San Francesco’ (fig. 1) – gli archeologi e chi scrive non potero non essere attirati da un’iscrizione ormai perduta nell’originale, ma ben leggibile nella trascrizione d’età contemporanea (fig. 2): «Hoc est sepulcxrum domine Vanne uxoris quondam domini Ceci Morle militis et domini Sigxerii Morle militis eius filii et Octoboni Morle item eius filii et domine Mantuccie uxoris et descendentium ex eis An. D. 1348». L’iscrizione, dunque, era stata collocata nella parete esterna, orientale, del ‘San Franceschetto’ per segnalare la presenza della tomba fatta costruire da donna Vanna, moglie del ‘cavaliere’ (miles) Cecio Morla, per sé, per i figli Sigherio e Ottobono, per donna Mantuccia – moglie di Ottobono[2] – e i loro discendenti; l’anno della costruzione della tomba è quello della grande pestilenza, il 1348, quando la sensazione della fine incombente imponeva la realizzazione di una tomba adeguata alla drammatica urgenza del momento. Probabilmente chi curò la replica dell’iscrzione Morla attinse a trascrizioni settecentesche – come quelle di Bartolomeo Baroni, che conserva anche l’arme losangata della famiglia, oggi illeggibile (fig. 3)[3] – piuttosto che all’originale.
L’iscrizione della tomba Morla si sarebbe confusa con le altre riemerse dai lavori di restauro – quasi tutte reimpiegate nell’Ottocento per le strutture funerarie della breve stagione che vide il chiostro del San Francesco ritornare luogo sepolcrale per eccellenza di Lucca, intorno al 1860 – se subito non si fosse imposta la memoria dantesca: Gentucca, l’enigmatica figura femminile che incontrerà Dante e gli «farà piacere» la città di Bonagiunta, è legata ai Morla, sia che – come vuole una delle ipotesi elaborate già dalla filologia dantesca dell’Ottocento, sulla scorta di una minuziosa recensione dei documenti lucchesi dei primi del Trecento – debba essere identificata con una Gentucca Fatinelli andata sposa a Bernardo Morla, o che sia la figlia di Ciucchino Morla, consorte di Bonaccorso figlio di Lazzaro Fondora[4]. L’intreccio di interessi fra Morla e Fondora intorno al ‘San Franceschetto’, fra la chiesa gentilizia dei Fondora e il chiostro cimiteriale disposto fra questa e la parete settentrionale del San Francesco che lo scavo del 2012-2013 ha permesso di ricomporre[5], è un ulteriore elemento a favore della seconda ipotesi, che d’altronde era data per scontata già nel Trecento, se due chiose anonime a manoscritti fiorentini, recuperate dal Minutoli, dichiarano che Gentucca «fue moglie di Coluccio Giari di quegli da Fondora». Solo un contemporaneo poteva sapere che Lazzaro Fondora, il suocero di Gentucca, si presentava – ad esempio in un atto del 22 dicembre 1306[6] – come «Laçario vocato Giario quondam item Laçarii de Fondora civi Lucano», ‘Lazzaro detto Giario figlio del fu ugualmente Lazzaro da Fondora, cittadino lucchese’.
Se dunque Gentucca fu persona reale, il San Francesco dei primi decenni del Trecento dovette essere luogo ‘per eccellenza’ della sue frequentazioni spirituali; probabilmente vi fu sepolta, con Lazzaro/Giaro Fondora e i suoi discendenti, fra le righe di deposizioni nel San Franceschetto che sono state rispettate nei lavori di restauro del 2013, mentre la cassa funeraria dei Morla – o quella che si apriva ai piedi dell’iscrizione – fu ampiamente riusata fino al Rinascimento.
Lazzaro Fondora è personaggio di rilievo nella Lucca degli anni intorno al 1300, a dispetto di un interesse apparentemente marginale negli studi contemporanei[7]. È sufficiente una rapida rassegna delle carte che lo riguardano nel Diplomatico dell’Archivio di Stato di Lucca per rendersi conto dei suoi vastissimi interessi, dal commercio internazionale che è sullo sfondo di un atto del 1292[8], sino alle eterogenee attività di gestione di proprietà terriere e di rendite fondiarie che si svolgevano nelle sue case, site nell’odierna Via Fillungo – allora ‘contrada di San Cristoforo’ – fra la Loggia dei Mercanti e la Torre delle Ore (fig. 4). Qui, come argomenta Minutoli[9], dovette vivere da sposata Gentucca, nata invece – probabilmente – nelle non lontane torri dei Morla, oggi in Via Santa Croce, come rammenta l’iscrizione appostavi (fig. 5), giacché i Morla sono parte della consorteria degli Allucinghi, e loro chiesa di riferimento era San Benedetto in Gottella, in cui fu eretta una cappellania in suffragio del defunto Ottobono, nel 1350[10].
Era però il San Francesco ad avere un potente ruolo di attrazione su Lazzaro, di famiglia da non molto inurbata dalla località del contado di Sorbano del Giudice da cui la famiglia trarrà cognome, Fondora[11]. La costruzione del ‘San Franceschetto’ consacrava il suo ruolo nella società cittadina e nel rapporto con l’istituzione conventuale. Nel 1307 Lazzaro, «civis et mercator Lucensis» è associato a fra’ Guiduccio, dei Frati Predicatori, come arbitro in una controversia[12], ma i comuni interessi con i Domenicani non gli impedivano di completare due anni dopo la chiesa eretta nel ‘braccio della Fratta’ – dove la famiglia aveva proprietà in cui andranno a vivere i figli intorno agli anni Venti[13] – apponendo sull’architrave della porta un’iscrizione che incorniciava con i colori dell’arme di famiglia, ancora leggibili nel Settecento (fig. 3)[14], il Tau, simbolo francescano per eccellenza (fig. 6). Pratica delle mercanzia, attività di ‘intermediazione’ nelle quali talora si intravvedono, in filigrana, prestiti su pegno mascherati da compravendite o speculazioni, non sono in distonia, nella prassi del tempo, con la devozione al Santo poverello, punto di riferimento capace di accomunare i Morla, una famiglia ‘nobile’, come dichiara il titolo di miles, e il Fondora di fresco successo. Forse non è casuale che Lazzaro ometta il nome del padre, nell’iscrizione di dedica, quasi a dichiarare la sua figura di homo novus.
Non occorre dunque una sfrenata fantasia – appena quella che deve alimentare il romanzo storico – per immaginare Gentucca nel suo andare per la città fra la casa della famiglia e San Bendetto in Gottella, passando per San Cristoforo, superare la postierla della Fratta e le mura erette da meno di un secolo per giungere al San Francesco mentre si sta completando il grande cantiere della chiesa e del convento, cui il suocero Lazzaro Fondora aggiunge quello della ‘sua’ chiesa, primo vero esempio di chiesa ‘gentilizia’ in Lucca, dopo le remote fondazioni altomedievali[15]. Gli affreschi del lucchese Deodato Orlandi in San Piero a Grado, di quegli stessi anni, nella scena del cantiere del San Pietro di Roma (fig. 7) ci fanno apprezzare nello sguardo del contemporaneo i lavori di costruzione di una chiesa, con lo scalpellino all’opera, gli inservienti agli argani, il manovale che s’arrampica per dar da bere al mastro muratore con un bicchiere di vetro e un boccale di maiolica arcaica[16].
Poco resta all’occhio dell’archeologo delle immagini che si presentavano a Gentucca o che riescono a rivivere nelle iconografie contemporanee: i muri, le schegge di lavorazione della pietra, i segni delle attività di cantiere, i boccali di maiolica arcaica andati in frantumi. Molto ha da integrare, per ricomporre le storie di muri raccontate dagli strati che li hanno sepolti o ne hanno segnato la costruzione e dalle ceramiche che vi finirono, o le storie di persone narrate da sepolture e ancora dalle ceramiche: storie che fra Due- e Trecento sono ‘in verde e nero’, i colori della maiolica arcaica.
Ma seguendo il ‘passo di Gentucca’ per le vie della città che ella «fece amare» a Dante, può riapparire, da trent’anni di attività di tutela e da un cantiere vissuto per cinque, anche qualche nota della vita di Lucca fra Due- e Trecento, nelle metamorfosi e nelle anamorfosi urbane, o nei ‘segni’ lasciati nella terra da chi di quegli eventi fu protagonista, artefice, o vittima. È questo il percorso in cui si vuole accompagnare chi sfoglierà le pagine che seguono, leggendo astruse sequenze di strutture o di unità stratigrafiche, o almeno sfogliando i colori degli scavi.

Giulio Ciampoltrini


[1] Questo viaggio archeologico nella genesi e nelle successive vicende del complesso di San Francesco è stato reso possibile dalla illimitata disponibilità della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca ad assicurare un livello di eccellenza per le indagini di scavo, affidate sino al 2011 al gruppo di lavoro condotto da Elisabetta Abela, composto da Serena Cenni, Maila Franceschini, Silvia Nutini, Kizzy Rovella, e dal 2012 alla conclusione dei lavori ad Alessandro Giannoni con la collaborazione di Elena Genovesi. L’impegno della Fondazione non si è limitato – per l’interesse manifestato dai Presidenti che si sono succeduti, fino all’attuale Arturo Lattanzi – a garantire la documentazione stratigrafica delle opere diagnostiche correlate alle esigenze del restauro o dell’adeguamento funzionale; spesso lo scavo ha assunto dimensioni e sviluppo peculiari dell’indagine di carattere meramente scientifico, ed è stato costantemente integrato dal rilievo degli elevati – affidato agli stessi gruppi di archeologi – quando la correlazione con le sequenze stratigrafiche lo richiedeva. Franco Mungai e il personale dell’Ufficio Tecnico della Fondazione sono stati sicuri interlocutori di queste richieste, assecondandole anche in momenti particolarmente impegnativi per il rispetto del cronoprogramma dei lavori, e hanno trovato nelle maestranze dell’impresa Giunta Sauro di Capezzano Pianore appassionati interpreti delle tecniche dello scavo archeologico.
[2] ASL, Diplomatico. Serviti, 1346 ottobre 12.
[3] Biblioteca Statale di Lucca, Manoscritti, 1015, c. 51 r.
[4] minutoli 1865, passim, in particolare pp. 33 ss.; si veda la sintesi nell’Enciclopedia Dantesca, dovuta a Giorgio Varanini (1970), facilmente accessibile all’indirizzo: http://www.treccani.it/enciclopedia/gentucca_%28Enciclopedia-Dantesca%29/.
[5] Infra, Parte III.
[6] ASL, Diplomatico. San Nicolao, 1306 dicembre 22.
[7] Si veda paoli 1986, pp. 216 s.; donati 2009, pp. 39 s.
[8] ASL, Diplomatico. San Romano, 1292 gennaio 31.
[9] minutoli 1865, p. 50, nota 67.
[10] savigni 2010, p. 173; per l’appartenenza di Ottobono Morla alla ‘contrada di San Benedetto’, si veda ad esempio anche ASL, Diplomatico. Acquisto Bigazzi, 1322 giugno 22. Probabilmente Ottobono scomparve nella pestilenza; Sighieri invece sopravvive: ASL, Diplomatico. Serviti, 1358 gennaio 12.
[11] minutoli, l.c. a nota 9.
[12] ASL, Diplomatico. Disperse, 1307 agosto 11.
[13] minutoli, l.c. a nota 9.
[14] L’arme Fondora è «d’azzurro alla fascia d’oro»: Archivio di Stato di Firenze, Fondo Ceramelli Papiani, fasc. 5613; http://www.archiviodistato.firenze.it/ceramellipapiani2/index.php?page=Famiglia&id=3240.
[15] Si vedano le annotazioni di paoli 1986, pp. 215 ss.
[16] Per questo berti 1997, p. 173, con riferimenti bibliografici; si vedano tuttavia anche le annotazioni infra, Parte III, nota 105.

domenica 19 luglio 2015

Il ritorno di Gentucca al San Francesco, un giorno rovente di luglio





Ritorna nel San Francesco Gentucca, a rivedere i luoghi della sua famiglia, i Morla, e quelli del marito, la chiesa sepolcrale dei Fondora, San Franceschetto. Giorno rovente, forse come le estati dei primi del Trecento, prima della crisi ecologica e della peste, che fece fare ai Morla la tomba della loro disperata speranza, 1348, 1349. Pochi amici a salutarla, mentre apre la porta che apre a storie narrate dalla terra e dai documenti, affidate ad un libro, al verde e nero della maiolica arcaica, alle immagini rigenerate ritrovate scandite e commentate da Consuelo.
E per il resto, il comunicato ufficiale ...


Gentucca e il complesso del San Francesco. Due eventi per riscoprire storie lucchesi del Medioevo

Nel luglio del 2013 venivano conclusi il restauro e il recupero funzionale del complesso di San Francesco di Lucca, voluti e finanziati dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca. Assieme a questi, erano stati condotti scavi che hanno consentito di ricostruire l’impianto medievale del convento – fondato intorno al 1230 – e le sue trasformazioni fino ai giorni nostri, oltre a molti aspetti della vita che vi si svolgeva.
A partire dal 2010, infatti, lo scavo aveva messo in luce la sequenza degli ambienti conventuali – il dormitorio, il refettorio, la sacrestia, la ‘cantina’, la cosiddetta Cappella Guinigi – disposti intorno al primo chiostro e aveva fatto luce sull’assetto originale della chiesa stessa. Inoltre erano riemersi gli edifici legati alla confraternita dei Disciplinati di San Francesco, ben conosciuta dai documenti, e il chiostro cimiteriale aderente alla parete settentrionale della chiesa.
Fu proprio qui che riapparve agli archeologi l’iscrizione funeraria della famiglia lucchese dei Morla, a cui apparteneva Gentucca, la ‘dama’ lucchese celebrata da Dante nel Purgatorio. Al suocero di Gentucca, Lazzaro Fondora, si deve invece la costruzione della chiesa detta oggi di San Franceschetto – che egli dedicò ‘alla Vergine e a San Francesco’ – completata nel 1309, come dichiara l’iscrizione splendidamente restaurata sull’architrave della chiesa. Con questa si concludeva quasi un secolo di imprese architettoniche che aveva conferito al complesso conventuale l’estensione che ancora conserva.
Leggere i nomi dei Morla, rileggere la dedica di Lazzaro Fondora, correre a ritrovare le pagine con cui il Minutoli, nell’Ottocento, aveva ricostruito il profilo ‘familiare’ di Gentucca, riconoscere nella terra le ombre di una storia degli anni di Dante, fu immediato ed emozionante, per chi vede l’archeologia non solo come sequenza di strati o di forme di vasi.
Le emozioni, tuttavia, devono essere disciplinate con la ricerca, prima di essere condivise. Sono stati necessari due anni di indagini sui materiali, di analisi incrociate delle evidenze degli strati e delle strutture – documentate in modo minuzioso grazie alla disponibilità della Fondazione – perché l’emozione provata nella primavera 2013 davanti all’iscrizione dei Morla venisse fatta decantare.
Con due eventi, in programma nella Cappella Guinigi del San Francesco venerdì 17 luglio alle ore 17, si presentano i risultati di questo impegno, sintetizzati in un volume e in una mostra.
Il libro Il passo di Gentucca. Il San Francesco di Lucca nel Medioevo: un itinerario archeologico, curato da Giulio Ciampoltrini e Consuelo Spataro, con contributi di Alessandro Giannoni e di Andrea Saccocci, edito dalla PubliEd e provvisto di un ricco apparato di immagini, inquadra la ‘storia archeologica’ della costruzione del convento francescano nella cornice della Lucca medievale, così come risalta da trent’anni di ricerche archeologiche. Sono le cosiddette ‘maioliche arcaiche’ a raccontare la trasformazione della città nel lungo ‘secolo in verde e nero’ – i colori della ‘maiolica arcaica’ – che va dal completamento delle mura comunali (1220 circa) alla ritrovata libertà del 1370, seguendo idealmente ‘il passo di Gentucca’, dalle case dei Fondora (in Via Fillungo) e dei Morla (in Via Santa Croce) fino al San Francesco.
La mostra Gentucca e il complesso conventuale di San Francesco tra testimonianze letterarie e realtà sepolte, presenta, con un apparato rivolto al grande pubblico, i materiali restituiti dallo scavo e gli aspetti della vita lucchese negli anni di Gentucca che possono essere ricostruiti integrando i documenti archeologici con le fonti letterarie ed iconografiche. Viene ospitata negli ambienti espositivi realizzati nell’area absidale del San Francesco e rimarrà aperta il sabato e la domenica e nei giorni festivi negli orari di apertura del Complesso (dalle ore 10,00 alle ore 19,00) fino al 31 ottobre 2015 (salvo proroghe successive).

Per informazioni: www.fondazionecarilucca.it

venerdì 19 giugno 2015

Il Barbie boy neoclassico

Nuda massa di terracotta, un velo forse d'ingobbio, nel pupazzo finito con masse immani di tegamini e pentole, un po' di tâches noires (che poi son nere onde su mare marrone), e si ritrovano le pagine d'antico maestro allora giovane, statuine da presepe e nude terrecotte della Crypta Balbi, pagine vagheggiate di magisterio assoluto, Johan Cruijf (gli anni eran più o meno quelli) dell'archeologia, dai Sesti alle medaglie devozionali, sempre supremo. Passano gli anni, si sa, ma i classici restano con le memorie di gioventù.
Ma ci sarebbero voluti gli Aqua, un po' di anni dopo, per scoprire che la Barbie esisteva già nel Settecento, nuda figurina (di maschietto invero) da vestire a piacimento, soldatino o santo o devoto o pastorello. E al Barbie boy di Lucca, liscio di superficie e quasi asessuato (ma non del tutto), il compito di aprire un interno degli anni della Conservazione, della Rivoluzione, della Restaurazione.
Un pupazzo nudo e liscio, quasi asessuato, buono per le vesti di contadino signorotto sanculotto seguace di Elisa prete soldato di Napoleone e cortigiano. Buono questo per tutte le stagioni, con panni appena alla moda.

mercoledì 3 giugno 2015

La pentola di Viareggio (ovvero: la pentola della nonna da Vallauris alla Versilia)




Ventitré anni, perché il lavoro dell'archeologa fiorente delle sue prime passioni trovi un lettore, venti minuti per leggere un bollo, strato 0 a contatto con US 5, ultime discariche in cantina su masse riversate ai primi dell'Ottocento (si direbbe), tâches noires innumeri con un fiorellino del Levantino lo dichiarano (-erebbero).
E poi si vola sulle onde della rete, lo stupore di VIAREGGIO, certo da leggere, con un M MAUREL, e non ci vuol molto per scoprire il signor Marius Maurel, forse figlio di François – anno 1873 a Viareggio e al Golfe-Juan – industriale potente in lavori di terra a Viareggio, ai primi del Novecento, dice quel che lo snippet di Google Libri regala.
Pentole di Provenza fatte a Viareggio, ritrovate a Lucca, ventitré anni fa, e questa volta si può indulgere a Gaetano Chierici e ai suoi fanciulli scalzi e lieti – l'età l'epoca la miseria, forse meno allegra, dei nonni dell'archeologo – per far rivivere la pentola di Provenza fatta a Viareggio. La pentola della nonna.

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