La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

venerdì 16 maggio 2014

Il poggio che se ne va alle stelle (Pietracassa a maggio)




Vento ma non troppo, nel cielo di Valdera, verde e il rosso e il bianco dei fiori di maggio, per salutare il poggio che se ne va alle stelle, Vitalba sotto le pale e l'angolo giusto per le due torri il mastio perduto, i sogni di anni passati a cercare le colline e il mare, le selve ritornate in signoria di cinghiali e caprioli, ma anche di agriturismi.
Incorona la rupe la Rocca rigenerata, Pietracassa, pronta a celebrare la sua festa dopo cinque secoli e qualche anno.

mercoledì 14 maggio 2014

Il Fiore del Seicento (misteri dei tulipani, dal piatto di Montelupo a Cecco Bravo e dintorni)





Fiore lanceolato, giallo atonico di Montelupo, metà dei Seicento, dichiara il contesto lucchese, onusto di graffita, stemmi semplici e banali, ghirigori in cornici, e la fine delle mura medievali che questo seppellisce, or che hanno trovato nobili sostituti e ultime le torri ormai inutili del lato occidentale s'arrendono ai nuovi baluardi, a un secolo e più dal sacrificio del San Donato.
Ma si deve zigzagare per centinaia di immagini di un secolo da vivere nella natura morta, sogno dell'archeologo che la trova in pezzi e del tutto priva di ciò che fu vivente, o quasi, per arrivare infine a Cecco Bravo e alla sua passione per il tulipano in bocciolo, esibito da Flora negli anni in cui il tulipano furoreggiava, la crisi del 1637, e poi le virtuose cadenze della Garzoni, con tutta quella frutta che non si vede mai il vaso. Disperazione dell'archeologo, che si risolve nel trionfo della vita del Fiore del Seicento, nelle trasparenze del vetro, nel serrarsi e dischiudersi dei petali.
Finezze di calligrafa, tratto violento e vitale, protoinformale, del pittore di Montelupo, per un piatto prezioso fra i cento di graffita con stemmi semplici e banali, l'emozione di una natura morta alla fine dell'insalata.

martedì 6 maggio 2014

Croci sepolte, anniversari differiti e i Cuscinetti di Vetro di Chiara





Giorni di scherzi a parte, nel Valdarno di Sotto, dice l'amico di anni antichi e ancor presenti.
Sulla Fiorita Collina Tosca i fiori della Santa copron d'ombra e di terra la Croce Sepolta di Sant'Ippolito, primo fonte battesimale di Toscana, ancora, si direbbe; ma vincon fioriere opulente che esaltano le forme di snelle Paniere. Dall'archeologia all'agiografia, e il ritorno è incerto, ma non il silenzio sulle tre chiese sull'Arno, e sull'ambiguo monumento che le generò. I Sogni di Sant'Ippolito...
L'altra collina, ancor più eccelsa, differisce differisce il giorno dell'Anniversario, celebrato nella silenziosa quiete del web, per gli amici che ancora credono alle Storie Sepolte nella Terra, una storia di Etruschi ritrovata fra le tombe del colono Baldini, il tesoro della contadina Fontanelli, gli scavi sull'acropoli. Colini e vasi per le feste del vino sono riposti, s'attende settembre, se poi non sarà novembre. Troppi son gli anni del vecchio archeologo prepensionando per attendere settembre senza poi novembre, april giugno e settembre ancora.
E poi una sera delle prime di maggio, del primo calore che non entra nel deposito strippante di Segni della Storia Ridotti in Frammenti, che l'archeologo prepensionando ogni tanto lavucchia, stirucchia, studicchia, ed ecco il sole venuto dall'Oman, al nome Chiara, a illuminar la Notte non Sotterranea ma quasi del Deposito con la favilla rapita alla terra qualche metro più in là, sfolgorio di Cuscinetti di Vetro per Macchine Tessili, mitico Segno nella Terra di una storia scritta sui muri e sulle pagine di un archivio.
E se poi gli anni dei Cuscinetti che furono Cappelletti son quelli che dichiara, con un po' di tormento, la terra, i primi del Cinquecento dei Nastri Spezzati di Montelupo e dei Dolori Infiniti degli Straccioni di Lucca, c'è ancora speranza che la Croce Sepolta di Sant'Ippolito trovi, nella quiete della terra, le gioie di una mostra, e che a settembre colini e bicchieri degli Etruschi di San Miniato si spolverino, per una festa dionisiaca dove poi si celebrò il Santo dei Commedianti (che poi sarebbe San Genesio).

domenica 4 maggio 2014

San Miniato, Fonte Vivo, 4 maggio 1934 - 4 maggio 2014. Introducendo il ricordo con i silenzi della Rocca ...






Silenzi infiniti sulla Rocca di San Miniato, nei giorni dell’ultimo autunno del 2007 e dell’inverno, e poi nelle luci di primavera, 2008, quando lo scavo nella Cattedrale dava i segni degli Etruschi e l’orizzonte illuminato dalla neve degli Appennini e delle Apuane, il profilo tagliato dal sole del tramonto e le ombre profonde delle colline che in serie infinita vanno verso Volterra e il mare facevano capire la storia.
Una comunità apparsa nella terra di Fonte Vivo il 4 maggio 1934, per mano del colono Giuseppe Baldini, nello scasso in proprietà Poggetti, e prima ancora, il giorno di carnevale 1748, quando una ‘contadina’ del Samminiati, Maria Domenica Fontanelli, vide apparire a Scoccolino qualche denaro d’argento, e poi si mise a scavare, e a ritrovare il ‘tesoro di San Miniato’. Ma occorreva anche la passione di una ricerca infinita sulle colline fra l’Era e l’Elsa, per trovare segni di Etruschi, Romani, villaggi medievali e dell’Età del Bronzo, perché i profili incisi dai lavori del De Agostino su Fonte Vivo, e del Gamurrini sul ‘tesoro’, si arricchissero di colori e di ombre: dal gennaio del ’77, a Cerreto di Palaia, al ’79, quando a Casa al Vento di Pieve a Ripoli apparve la chiave di lettura che allora sembrò risolutiva, il gemello sull’opposta sponda dell’Arno dell’abitato che aveva sepolto per due secoli i suoi morti a Fonte Vivo, dove dalla via che segue il piede delle colline si poteva salire – come oggi – all’acropoli che dominava Valdelsa, Valdarno Inferiore, Valdinievole.
Terre che sarebbero state amministrate nel XII secolo dal Vicario Imperiale e – in parte minore – dal potente Comune nel secolo successivo.

L’ottantesimo anniversario del ritrovamento di Fonte Vivo è parso occasione, in una società cui occorrono stimoli esterni e coazioni di date per riflettere sul suo passato, remoto e vicino – un’utile ossessione – per ricomporre le storie di Fonte Vivo e degli Etruschi di San Miniato in una silloge che desse conto dei giorni del ritrovamento del 1934, della divisione di complessi tombali già smembrati dalla concitazione dello scavo, delle ricerche degli anni Settanta, sul terreno e nella sede del Comune di San Miniato, ospitale per il giovane aspirante archeologo che si presentò con una lettera del maestro di Normale, Salvatore Settis, e si vide aprire la vetrina che accoglieva da quaranta anni le memorie di quel ritrovamento.
Ma l’archeologia – almeno per chi si è formato nel secolo passato – non è solo alchimia informatica, è anche emozione, come quella che chi scrive provò quando l’amico Giuliano De Marinis, che pur tanto amava le terre di Valdelsa, volle passargli la responsabilità di San Miniato, nella struttura della Soprintendenza Archeologica; ancor più forte quando nei traslochi degli anni Ottanta, come non di rado accade, si manifestò ciò che sembrava perso, ed era solo un po’ più in là rispetto a dove lo si era a lungo cercato: il lotto del ritrovamento 1934 che era stato acquisito dalla Soprintendenza. Qualche perdita, nel frattempo, ma ancora sostanzialmente superstite, e presto restaurato, pronto per tornare a San Miniato, a ricostruire almeno l’immagine lacerata di due secoli di storia di una comunità.
Un’impresa apparentemente semplice, se le migrazioni della collezione archeologica del Comune di San Miniato non avessero suggerito di differirla alla sede finale del Museo.

Dunque gli ottanta anni, per riunire almeno in una sequenza di pagine le forme chiuse e le forme aperte che compongono i servizi per bere il vino che gli Etruschi di San Miniato affidavano alla loro terra per le olle con le ceneri dei morti; gli unguentari; le dotazioni delle donne che trovano ancora un’immagine vivida e inquietante nell’acefala statua marmorea giunta sul finire dell’Ottocento da Montappio al Museo Archeologico di Firenze, che per tanti anni salutò chi saliva le scale della Soprintendenza, per poi migrare anch’essa, infine, in depositi. E l’occasione dello scavo nella Cattedrale, mesi di impegni condivisi su coacervi di deposizioni, dal Medioevo al Settecento, per raggiungere infine, in pochi metri quadrati di terra, le tracce – o le ombre delle tracce – dell’abitato sull’acropoli che dominava, almeno con lo sguardo, la parte più vivace della Toscana settentrionale, quando questa era ai confini di un’Etruria aperta agli scambi con i Liguri-Apuani e i popoli dell’Appennino, prima di divenire un teatro di guerra al mutare di equilibri esterni alle comunità del Valdarno (si direbbe). Fino alle ultime, crude vicende delle guerre civili, pur queste rilette in un fascicolo apparso per caso nei fondi dell’Archivio di Stato di Firenze, un memoriale giuridico-amministrativo che dieci anni fa era pur riuscito a far rivivere una ‘commedia’ sanminiatese del Settecento e una tragedia dell’80 a.C.

Sono queste le riflessioni e le immagini che si affidano a pagine in cui, tanti anni dopo i primi viaggi nelle argille sull’Elsa, quando delusioni s’intrecciano con curiosità risolte, il curatore si augura qualcosa appaia degli ‘Etruschi di San Miniato’.

Giulio Ciampoltrini
I silenzi di San Miniato
Introduzione a

Gli Etruschi di San Miniato. Gli scavi nell'area della cattedrale e il sepolcreto di Fonte Vivo a ottanta anni dalla scoperta (1934-2014)
e-book per l''80° anniversario del ritrovamento

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