La città di San Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico

domenica 30 dicembre 2012

Croci cerchi tralci nastri di un secolo per un anno

Un anno passato (anche) a ricucir intrecci di croci e cerchi che s'incorniciano di tralci e infine nastri, puri nastri e foglie che sono frecce, per un anno di Segni dell'Auser.

venerdì 28 dicembre 2012

Un tremisse per l'ultimo viaggio

Il tremisse di Pieve San Paolo o dintorni, trovato ai primi dell'Ottocento per il Bertini salvato da una tavola di incisioni infinitamente elucubrata, dorato dall'archeologo antiquo per La Croce e il Tremisse, un viaggio sognato nella Lucca del secolo VIII infinitamente vagheggiato, preparato in tutti i colori che chissà quando o se si farà, per il viaggio estremo di Giuliano Marchetti, estremo cultore della zecca di Lucca, undici secoli di L V C A in tutte le varianti, più sigle; e per il viaggio estremo di Marina Brogi, preziosa custode delle memorie di Palazzo Guidiccioni, presenza leggera e luminosa in sale conosciute in anni intensi e in anni di stanchezza.
Amici che partono, ancora, in un anno di partenze e di dolore.

mercoledì 26 dicembre 2012

La doppia morte di Maria Caterina Antelminelli (Il Segreto di Ilaria, ancora)


Ritrova antiche questioni di metodo, Lachmann e dintorni, l'antiquo archeologo, nei giorni dell'antropologia avanzata, dacché le Tre Donne intorno al cuore dell'avello de' Guinigi, accanto all'altare di Santa Lucia, dopo i suoni e i colori del Sercambi ritrovano anni e dolori, artrosi e segni dei parti, nel bacino sfinito, per le magie del paleopatologo.
Il Diamante e i Fiori, dopo due anni, ritornano nel frastuono della rete, per qualche giorno, e per qualche ora gli ardui scaffali del KHIF, da esplorare con scarpe adatte salendo nelle vette dove la sorte dell'alfabeto ha messo Jacopo che fu senese ma anche lucchese, danno emozioni dimenticate, gli anni in cui con giovanile entusiasmo i maestri della Normale, inutili per quasi tutto quel che la vita ha offerto fuor che per il metodo, docevano di non fermarsi mai alla nota a pie' di pagina, oltre, oltre, sino alla fonte.
E dunque se la prima tomba, a lato dell'avello, è di giovinetta, perché non riandare alla prisca fonte, Urquelle per Ilaria e per Jacopo, congiunti nella storia assai più di quanto furono Ilaria e Paolo, storia d'amore divinata in qualche riga dal cronista di famiglia, mentore del signorotto di Lucca innamorato di gioielli e balasci ...
E dunque l'archeologo antiquo, mai appassionatosi d'Ilaria e di Paolo né di quegli anni torvi, guerra sangue peste fame morte dovunque, se non nel verde e nero dell'estrema maiolica arcaica, fiori lanceolati che sembran armi, rilegge il Vasari e la moglie di Paolo senza nome, e nello scaffale supremo trova Giovanni Giuseppe Lunardi, antico e più fresco, subito sotto, Paolo Pelù e la sua indagine.
E dunque se non Maria Caterina postuma figlia di Giovanni detto Vallerano Antelminelli, benignato dall'imperatore ancora negli anni Ottanta, elisa dal Sercambi, chi altra in quella tomba subito a lato dell'avello dei Guinigi, ma fuori, per Paolo sterile se non di ricchezze e d'intrecci familiari; lì messa per avallare la tomba da costruire dove le glorie degli Antelminelli si trasmutavano in quelle dei Guinigi anche nel segno della morte, immagina l'archeologo memore delle antiche lezioni sui segni del potere.
E dacché Sercambi ci illustra obliquamente che divenuto Paolo signore Caterina moriva anche nella memoria, e altre storie di donne annodavano il Guinigi e la sua città, donne di clausura rapide a far figli e a lasciar campo a nuovi intrecci, perché il monumento immaginato per Caterina non poteva diventar di volta in volta segno di Ilaria, e di Jacopa, se Piagentina era un po' scomoda per la lentezza dei marchigiani nel pagar dote e anticipi di cassa del signore di Lucca e del suo forziere ..
Tre scheletri per quattro mogli e per una tomba, la doppia morte di Caterina, ultima della genia di Castruccio, morta al momento giusto e morta nella memoria di un monumento che – a legger bene il Vasari, o solo a leggerlo – era per la «moglie che poco inanzi era morta» di Paolo. Vuota, aperta per tutte e per nessuna.
Il Segreto di Ilaria, il Segreto della Vita e della Morte, nel marmo che Vasari ascrisse a Jacopo perché era degno del maestro (o il maestro degno del marmo?).

mercoledì 19 dicembre 2012

Tra imago mortis e scene da un matrimonio










Prendere un rilievo di tomba lucchese, chiesa di Santa Lucia, ovvero cappella Guinigi nel San Francesco, in severo bianco e nero ma quotato a colori, completarlo dei colori di Masaccio, Firenze, tomba con Trinità, tornare a Lucca, nei colori delle lampade, scendere nel particolare dell'Anello & Sigillo, immaginarlo al dito della dama di Firenze finita a New York (grazie Met per le immagini splendide, la bibliografia esauriente, le mostre efficaci e sontuose, e il catalogo quasi gratis), rivedere l'imago morti (ymago, alla quattrocentesca) nella scena di uno sponsale alla finestra, enigmi del Primo Rinascimento, vagar nelle sale digitali dell'ospitale Met per cercare, nel tocco rarefatto del Tardo Gotico e nell'opulenza dell'aristocrazia fiorentino-biblica, i giorni sontuosi del signorotto di provincia cantato dal Sercambi, i suoi matrimoni con principotte di campagna, ricche quel che basta, di schiatte avvezze al sangue di storie tremende, come quelle dei Trinci di Foligno, pronte a sfinirsi di gravidanze per lasciar occasioni di nuove doti (fa capire il Bongi ...).
Sogni di un archeologo, che ritorna, dopo due anni, all'Impresa del Diamante, avendo letto le croniche del Quattrocento, gli inventari lumeggiati dal Bongi, i cataloghi di gemme d'Oltralpe, e che vorrebbe ritrovare nell'anello dell'Impresa uno diamante puncta legato in verga d’oro, smaltata alla parigina. E chissà se è così ...

mercoledì 12 dicembre 2012

Gli svaghi delle guaite di Garfagnana





Guaita, guaita male: non mangiai ma' mezo pane.

A differenza dei loro male avventurati colleghi di Travale, festosi solo nel ritmo, non si sa qual pane ricevessero gli uomini di Piazza al Serchio e dintorni che salivano alla guaita del Castello del Vescovo e dei suoi consorti, diviso per tre sul doglione della Rocca di Sala, possente cuneo fra le acque genitrici del Serchio, o roccia spezzata dalla forza loro, a scelta.
Un po' di vino, si direbbe dai boccali, un po' di zuppa, per le olle delle paste di Garfagnana che Paolo e Silvio or molti anni sono estrassero dalla rupe, con le vestigia dei Liguri-Apuani e prima ancora degli anni intorno al 1100 a.C. o giù di lì, il Bronzo Finale dell'Alta Valle, le due rupi della Capriola e del Castelvecchio, la terza di là dal giogo, ormai in Lunigiana. Storie tutte narrate, qua e là, presto dimenticate, ma la terza dovrà pur esserlo, per rispetto della fatica loro e degli inciuci degli anni del primo Federico registrati da pergamene oblique e ambigue, o da una cisterna un po' sfatta e dal rifugio degli uomini di Sala e Livignano, nelle ore della guaita, casupola a ridosso di un muro alto quel tanto che bastava a rammentare ai viandanti verso Lombardia o Toscana il vescovo remoto e il suo potere, e motivare le fatiche della guardia. Nitidi segni dal cielo, tagliati a perfezione, forse un po' troppo.
Ma si svagavano, di certo, ci racconta il minimo dado che gli archeologi han tratto dalle terre sfatte, e giocavano (s'immagina) le monete con la F e con la H, e quelle venute di Lombardia.
Notti del 1190 o 1220, fatiche inutili, forse, affidate non ai versi non trascritti dal notaio di Maremma, ma alle storie scritte nella terra, decifrate da Paolo&Silvio.


mercoledì 5 dicembre 2012

Storie di famiglie e musica



Rotta al punto giusto, lucente quel che basta, colori squillanti fra segni netti e profondi della stecca, l'arme dei Ghivizzani, per chissà qual ghiribizzo del fato, riappare dalle terre e dalle cassette ammucchiate, invertita rispetto alle meraviglie ottocentesche del Ceramelli Papiani, «partito: nel 1° palato di sei pezzi d'argento e d'azzurro, al capo del primo caricato di un leone leopardito del secondo; nel 2° d'argento, all'aquila dal volo abbassato di nero, coronata d'oro, uscente dalla partizione..» A dire il vero con la punta del graffito il leone leopardito sembra piuttosto un cagnolone, ma i colori son quelli.
Seconda metà del Cinquecento, forse agli inizi, e siamo agli anni del Ghivizzani Giovanni Battista, da cui sorse Alessandro oggi obblïato anche dalla toponomastica stradale, unica memoria delle glorie municipali, ma non dai redattori della Treccani, che ce ne narrano storie ed eventi ed avventure, Firenze le corti della terra di qua e di là del Po, Monteverdi, Lucca andata e ritorno.
E sarebbe bello capir di ceco, per sentirne i suoni, navigando sul web della Boemia, o chissà dove. Ma ci si può contentar di Caccini suo suocero e Monteverdi, per ritrovare nei colori della terra i suoni delle corti di qua e di là dell'Appennino.

domenica 2 dicembre 2012

Le monache degli stovigli







L'epoca non è proprio quella, ma insomma più o meno le estasi monastiche e il servizio da tavola scodella piatto boccale bicchiere panino zuppa e un po' di vino son quelli, e dunque per gentile omaggio del museo di Mosca, le Monache a tavola del Magnasco per la mostra lucchese, oligocromia guizzante di rapidi tocchi del Lissandrino, per dar passione e spazio al barocco da vivere con qualche sonata per violino di Vivaldi.

venerdì 30 novembre 2012

Il grido dei paladini (Orlando e Oliviero in Garfagnana)


Rollandum dicas Oliveriumque renatos
si comitum spectes hunc hasta hunc ense furentes
Ugo di Vermandois e Roberto conte delle Fiandre a Dorileo, contro i Turchi, anno 1097, sonoro latino di Raoul di Caen, Radulphus Cadomensis, nell'aulica edizione muratoriana delle Gesta Tancredis, verrebbe da sognare immaginare ipotizzare asseverare nell'enigma di Careggine, rilievo generato dalla terra fra poco sono anni novanta, i due enigmatici uomini di guerra congiunti come nel compagnonnage dei loro modelli eroici, Orlando ed Oliviero, con il primo a gridare
Fier de la lance et jo de Durandal.
Castelli che si animano dei domini di Careggine o del Poggio di San Terenzio, delle consorterie di Dalli o dell'arcaico spirito dei nobiles di Cogorozzo o delle altre infinite congreghe annidate sui cocuzzoli della Garfagnana, il palatium dei signori di Bacciano con ponte che suona per qualche attimo dei versi cavallereschi, nella via che va al mare e ai metalli di Versilia dalle piane di Lombardia.
Forse, chissà, probabile, possibile, nella destra del guerriero di destra con l'elsa superstite di Durandal, Oliviero pronto a proteggerne di lancia, l'espiez, il fianco sinistro, compagnons che gridano insieme balzando nell'ultima mischia. A piedi, non si deve chieder troppo al rustico scultore di montagna, che traduce nel rilievo a due piani della pietra di Garfagnana i profili del romanico di Lucca e non aveva visto i duelli di Angoulême.
Gli amici di Garfagnana chiamano, ventun anni dopo la prima volta, onusti d'anni e d'affanni ma anche di curiosità di sapere e far sapere.
L'olifante di Orlando suona, su per i monti ...

sabato 24 novembre 2012

Il ritorno della Dama con gli Orecchini nella città di Romani e Longobardi



Un anno, da Via Elisa a Via della Quarquonia, passando per Firenze e per l'impegno di Alessandro che la svegliò dal sonno di terra e di Valeria che le ha ridato forma e storia, e la Dama ritorna a Lucca, con i suoi orecchini trina d'argento e il pettine fascinoso come la sua storia. E si completa, per le fatiche di molti, l'angolo di luci e colori che ridà vita, per l'attimo che il visitatore vuol sostare, nel Museo, alla città del secolo VII, Longobardi e Romani, dame (honestae feminae, più o meno)  e viri magnifici e viri devoti, i profumi d'Africa negli spatheini e nella anforette di sigillata, le storie di viaggi da Lucca a Niederdollendorf passando per il Duomo di Colonia della fiasca, le zuppe negli alvei rinati nel Pentateuco, le fibbie e le cinture e i fermagli del bronzista di Via Fillungo, il Romano con lo sguardo allucinato, quasi come l'orrore delle Longobarde di Piazza al Sewrchio/New York/Perugia/Nocera Umbra.
Un'occhiata, una finestra di luce, e via ...

mercoledì 21 novembre 2012

Il grido della Longobarda (da Piazza al Serchio a New York)




Terribile è il grido della fibula longobarda, sbalzo orrorifico, orripilante nella pienezza etimologica, della figura imberbe, femminea, magie venute di Pannonia o dalla memoria appena impolverata di Valchirie e Walhalla, o segno apotropaico sulla faccia che guarda il tessuto e la donna; oppure, chissà, il grido della Longobarda dura e fiera nell'esibire le bestie contorte che coprono d'intrecci tutto il copribile, sgomenta nel lato occulto.
E quando, navigando per le onde del web, (ri)appare nel comodo dello schermo la fibula giunta a New York passando per le botteghe antiquarie fiorentine, con il terzo grido, dopo quelli di Perugia e di Nocera Umbra, nell'intreccio di mostri della faccia A che generano l'orrore della faccia B, per un attimo l'archeologo sogna di aver davanti la gloria della Longobarda di Piazza al Serchio, svegliata dal suo addobbato riposo dalla via ferrata della Garfagnana, anno 1920 o '21, orrori appena passati e altri in atto, in attesa di quelli supremi.
Il Migliorini e il Galli, il maestro elementare appassionato e trafficante (dice il Galli) e il funzionario spedito nel furore del '22 a cercar notizie frantumate di tombe espilate, ori argenti bronzi vasi dissolti; uno schizzo ritrovato cinquanta anni dopo, spremuto in ogni sua linea, la grafia inconfondibile del Migliorini, per cercare il perduto.
Da Piazza al Serchio, 1920, a Firenze, 1955, e da lì al Met, forse chissà, forse no, ma da dove se non da lì, il terzo grido o il quarto quello della Longobarda giunta a morir vecchia dalle piane del Danubio dove il Serchio di qua si congiunge al Serchio di là per generare il Serchio.
E il giallo del sepolcreto perduto continua.

domenica 18 novembre 2012

Bientina, la sera di novembre, gli Etruschi del Museo, le generazioni di archeologi



S'affolla o quasi, di nuovo, tredici anni dopo, l'antica chiesa con le reliquie degli Etruschi del Bientina, Storie di Comunità Rurali fra X e V secolo a.C., storie costruite da due generazioni di archeologi ed oggi raccontate dalla terza, pronta a scrivere nuovi capitoli. Ordini antiorari della storia, il Bronzo e il Ferro, l'Arcaico, il Classico, la fine di una civiltà (forse) in una terra (come si direbbe) in perenne equilibrio con l'acqua. E il tardobarocco di campagna di San Girolamo a illuminare le vetrine di amici a cavallo fra la prima e la seconda generazione.

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Presentazione

Il 27 novembre del 1999 la comunità di Bientina coronò il sogno – rimasto tale per più di quaranta anni – di Vittorio Bernardi: raccogliere in un museo i ‘segni’ della storia etrusca del territorio del Comune.
La passione del Bernardi – al quale giustamente è stato dedicato il Museo – aveva sollecitato a scavi di necropoli e insediamenti quando (gli anni Cinquanta del Novecento) questi temi della ricerca erano inusuali in un lembo di Toscana che, per una lettura parziale delle fonti antiche, si voleva assegnare all’ambito culturale ligure, benché il primo e più autorevole fra gli archeologi che avevano presentato ritrovamenti del territorio (il Ghirardini) già sul finire dell’Ottocento avesse riconosciuto i chiari segni della cultura etrusca nella tomba emersa nel settore settentrionale della bonifica del lago di Bientina (o di Sesto, come lo denominava la Repubblica di Lucca, conservando l’antica terminologia me- dievale), al Rio Ralletta.
Sono state le rinnovate indagini degli anni Ottanta e Novanta del XX secolo a chiarire risolutivamente dubbi che non avrebbero mai dovuto affiorare, e a fornire materiale per entrare sin nella vita quotidiana degli Etruschi fioriti per qualche secolo nel territorio che oggi è di Bientina. Infine, l’attenzione per la tutela e l’impegno degli eredi della passione di Vittorio Bernardi hanno portato a scoprire, nell’area di Fossa Cinque, i precedenti del sistema di insediamenti etruschi già dell’VIII, e poi del VI e V secolo a.C.: il villaggio dell’età del Bronzo Finale che occupò, intorno al 1000 a.C., il cuore della piana oggi bonificata, è un’impressionante testimonianza di quanto rimane ancora sepolto, giacché solo con l’apertura di profondi fossati è stato possibile individuarlo ed esplorarne alcuni lembi.
Le razionali vetrine ‘a isola’ del museo ospitato nel San Girolamo, progettate da Mario Pagni, propongono dunque al visitatore un arcipelago che è anche un percorso nella storia del territorio di Bientina, dal 1000 a.C. sino al V secolo a.C., quando una secolare storia si esaurisce in circostanze climatiche avverse, che porteranno a nuovi sistemi di insediamenti.
Non c’è dubbio che per la fruizione di contesti archeologici di non immediata lettura come quelli di Bientina la presenza di una guida ‘in persona’ – interattiva al massimo – sia sempre preferibile, ma la chia- rezza e la misura profuse nell’opera fanno sì che si riesca a sentire presente l’autrice, con l’impegno e la competenza della nuova generazione di archeologi a cui appartiene.

Giulio Ciampoltrini

giovedì 15 novembre 2012

Le vie in rosso e grigio (ma anche blu e un po' di giallo)






Preziose tarsie di pietre e triti laterizi in cui s'incastonano segnali del tempo (vulgo: qualche frammento ceramico), lustrate dall'acqua o impastate d'acqua, s'inseguono sul volar degli anni le immagini delle vie di Lucca degli anni remoti di una città che cambiava volto, per il nuovo culto e le nuove aristocrazie, conosciute da qualche pavimento e due iscrizioni di regime. Anni dei Costantinidi o dei figli di Teodosio, chissà, più o meno ...
Venticinque anni o quasi separano l'alto e il basso, il pavimento cercato lungo il gran kardo della città, trovato in un miracoloso diaframma protetto dalla benevolenza della Pupporona, turgida beltà contadina e neoclassica, e l'apparizione di Via Burlamacchi, ricucitura per coprir cloache e saldare i basoli sopravvissuti del kardo degli anni di Augusto.
La palina e la lavagnetta sono effimera scansione fra emozioni che, nonostante VIA VAI e VAS, ritornano, nelle fatiche di Paolo di anni remoti, nelle fatiche di Enrico e Sara (ordine alfabetico) dei giorni che corrono.

venerdì 9 novembre 2012

Tiziano nel piatto, in tre colori






Tre colori, nel piatto di Lucca, pennellate veloci e graffiti plebei (avrebbe detto Ranuccio Bianchi Bandinelli degli anni che l'archeologo non era azzannato dal GIS e divorato dall'open archaeology e dai suoi layers, figli di trowel, e piuttosto soffriva con Fidia di Schweitzer – anche lui cervellotico, diciamolo pure, quasi come l'insormontabile Exekias di Technau – o con i sarcofagi del più terrestre Rodenwaldt).
Riappare da cassette infinitamente rivisitate il piatto del Cinquecento, figlio di secoli remoti e del giorno che Elena trascinò l'archeologo (non ancora vecchiozio) alla sacra ellisse dell'anfiteatro, sottratta per un attimo al giovanil furore che la esaltava fra cavi dell'ENEL e pavimenti pubblici della Lucca del Cinquecento, veli di terra rossa lucidati dalla sua trowel e più assai dalla sua passione.
Dieci anni, il giovanil furore ha fatto giungere Elena in Irlanda (ultimo domicilio conosciuto), per l'arte di Alessandro l'anfiteatro svelò il mistero del progetto di Nottolini e per devozione all'open archaeology – divinità suprema nel larario dell'archeologo di questi giorni, appena uscito dal Salone delle Feste della Firenze granducale – se ne dovrà pur dar contezza, e infine con le facili virtù della rete, due tocchi su Google, il profilo smunto dal gran mento con la barba giallastra del corazzato figuro sul fondo del piatto si sovrappone, invertito dal gioco delle incisioni, al Carlo V di Tiziano, genitore del d'après di Rubens, e di prodotti innumeri delle stamperie veneziane (forse).
Lezioni antiche, arte di corte e arte di popolo, immagini per la celebrazione e immagini da scoprire sotto l'insalata e il panino nel tratto del graffitista di Toscana.

mercoledì 7 novembre 2012

Le Verrucole vintage


Una cartoccio di immagini appunti stampatidiquandononcerailpdf e carte e disegni, lavori di anni remoti ante quem, e riappare la lucida stampa da diapositiva, segno di passati remoti, e le Verrucole, grigia la pietra, erbosa ruina sulle erbe di Garfagnana, fino allo struggente azzurro del cielo.
Ancora neppure si immaginava, dal Monte Pisone e dai castella dei Liguri, che sarebbero tornate più belle che pria, inauditamente belle come le dame che han conosciuto il botox, la Rocca Tonda la Quadra e la cortina che le inanella, e che la terra che le seppelliva avrebbe svelato le storie dei Gherardinghi e dei loro fideles, dei castellani di Leonello e di Borso, il Pasi, e giù giù, Ferrara e Mantova e poi i Napoleonidi con il bottone ironico. Storie descritte dai magici quadrati di Paolo, e un Quattrocento di montagna in cui il verde e il giallo delle graffite ferraresi e di Padania s'intreccia, come nei suoni di Josquin, con i colori di Pietro da Talada, e si assaporano le fantasie ariostesche nelle scene di Schifanoia, perlustrate all'infinito per illuminare i bottoni delle dame e le corazze dei cavalieri.
Politically correct la consapevolezza della civile convinzione del progresso, con la Rocca che oggi s'aderge penetrabile e fruibile; ma sia spazio, per un attimo, per la stampa da diapositiva finita tra le carte degli anni Ottanta, vintage per rivivere passioni e sogni d'un dì, e il loro tramonto oltre le Panie.

venerdì 2 novembre 2012

Sotto il segno degli Aquilini



E per Lucca, che non riesce ad arrivare ai 2200 anni di caput di qualcosa (colonia Latina, municipium, colonia Romana, sede ducale, sede marchionale o quasi, Comune, Repubblica e purtroppo anche Ducato, e poi provincia), gli aquilini pisani degli anni della cattività babilonese sotto i Pisani, del nidus tyrapnidis, dei tiranni e dei ducetti che cambiavan bandiera di anno in anno sull'Augusta strumento di schiavitù, nelle meravigliose tavole di Andrea Saccocci (A. Saccocci, I materiali. II. Le monete: denari normanni (XI secolo) e ripostiglio di quattrini toscani (II metà XIV secolo), in In silice. Lo scavo della chiesa di San Ponziano in Lucca, Lucca 2006, pp. 133 ss.).
Morire sotto la cattività pisana, prima del buon Carlo (IV) imperatore (acquistabile non con aquilini, ma con fiorini).

sabato 27 ottobre 2012

Gli stovigli delle monache: il prequel


Era un po' stanco l'archeologo vecchiozio ala sera degli stovigli, il sole di Maremma, terra sempre amata, aspra e dolce, le pale che ruotano sempre più fitte su monti sempre più opachi, gli ardori delle terre di Pontedera, le fatiche di Rapida e le fosse di Sara.
E giacché fu troppo veloce, con i tempi infiniti strazianti esaltanti del Nulla in mundo pax sincera, con immagini nero su nero, a mo' di Eutropio, un Breviarium historiae monasterii monialium Domini Salvatoris necnon Divae Iustinae Martyris, in usum exhibitionis Lucanae et eius artificis per imagines expressum.
Per il greco c'è tempo.

venerdì 19 ottobre 2012

I segreti della zuppa etrusca di Garfagnana


E in gloria della bravissima carpologa che ce ne ha svelato i segreti, si apprezzi la zuppa etrusca di Garfagnana, scoperta nelle oscure fosse della Murella dalle fatiche di archeologi, biennali, un po' sbruciacchiata: farro in abbondanza, un po' di farricello, un tocco d'orzo; aggiungere in quantità equipollente più o meno, o a piacere, ceci e favino. Cuocere a fuoco lento, su piani forati o lì dappresso, in pentole d'impasto con inclusi microclastici, di diaspro (tiene meglio la cottura). Consumare in tazzoni alla padana, con un po' di vernice rossa, sente meno il sapore di terra, zuppando piadine cotte sotto campana di coccio (un po' all'inglese, cooking bells; così è contenta anche Francesca ...).
E una dedica femminile ne faccia magica pozione, segno d'amore, al profumo dei porcini d'autunno e delle prime castagne.

martedì 16 ottobre 2012

Vie di valle e vie di monti, storie di amici di strade di triumviri






Si viaggia in attesa di piogge per monti e per la Pianura dell'Eridano, visto ricco di acque, a Ostiglia, per raggiungere l'Adige e parlare e sentir parlare, a Trento, di vie di eserciti di imperatori di mercanti di vino di latrones e poi di pellegrini e di schiere con imperatorio altrimenti vestiti che seguono il percorso inverso, d'Oltralpe cercando Roma; e apprendere storie vicine a quelle vissute nelle valli di Toscana, raccontate dalle valli alpine.
Amici chiamano per ricordare gli amici che alla Murella, dove meno ricco dell'Adige scorre sulle ghiaie il Serchio, Auser pater, trovarono e scavarono, con i tagli geometrici degli archeologi antichi, le oscure tracce di pietra miste ai segni degli anni del Secondo Triumvirato, il nero e il rosso d'Arezzo con le lucide sigle degli anni in cui il mondo cambiava rimanendo uguale, come le forme delle coppe.
Gli anni della nascita della via che segue il risuonar del fiume e poi s'addentra nelle foreste degli Appennini, per congiungere mondi diversi e affini, da sempre, o almeno da quando dalle Terramare si giunse oltre l'orizzonte di montagne che chiude la pianura, sospetta l'archeologo, e lo pensa, anche se l'Accademia vieta i voli della fantasia.
E solo ritrova, per i prodigi di Google, la pagina del Gamurrini con la notizia del Massagli, il tesoro di Sant'Alessio, segno d'argento degli anni di guerra e di morte, quando la strada veniva costruita, per dar preda ai latrones o audacia ai coloni che a Lucca preparavano le vie di Trento.

giovedì 4 ottobre 2012

I volti che si inseguono, dalla marina ai monti al piano






Molte fatiche e un po' di gloria, un dì, per l'amico numismatico oggi vagante nelle sue terre di Puglia, Luigi Tondo, a scovare nei fondi della biblioteca di Firenze il prezioso opuscolo con la preziosa tavola, Sebastiano Ciampi al dotto amico Gran-Giudice della Giustizia ec. ec. ec. nel Principato di Lucca (che tempi, che titoli); oggi un clic, e via, con Google e Wiki-tutto. Solo un po' d'argento, per fugare il mitico bianco dell'incisione protoneoclassica, al naturale.

E molte per l'altro amico, Augusto, a trovare nella terra della via etrusca del Botronchio l'altro volto, metà di peso delle tre medaglie superstiti di quelle trovate per l'erudizione del Ciampi e il trionfo del Gran-Giudice sui monti di Lucca che guardano la marina mentre Napoleone tornava di Russia per l'ultima battaglia a Lipsia; moneta del peso conforme alle mitiche con il calamaro da cuocere alla pisana, nel vino uscito dall'anfora, argentea traccia del mare quando ancora si dubitava di Pisa etrusca, e dei suoi Teutani (come i totani).
E meno per seguire nelle pagine di Langlotz storie di monete di elettro, volti della Ionia degli anni in cui dalla servitù persiana si passava all'oppressione ateniese, e i Focesi venivano ancora in Occidente, a portare a Pisa gli ultimi sorrisi ionici, che tanto andavan di moda quando il libro di Langlotz non era ancora coperto di polvere, Studien zur nordostgriechischen Kunst. E Mauro Cristofani apriva le vie dei mari d'Occidente passando per l'Oriente, dal ripostiglio di Auriol a Volterra, fermandosi appena un passo prima di Pisa, a San Rocchino.
Anni remoti, in cui il GIS non esisteva e la VAS era ignota. Ma non l'acume di chi trovava volti ionici, o protoclassici, sulle minime monete di elettro, per dar luce agli argenti dei monti lucchesi che guardano la marina, e gli anni della moneta trovata da Augusto, quando gli anni di Langlotz erano ancora vicini, lontani quelli della VAS.

mercoledì 3 ottobre 2012

Coppe d'Oriente per la minestra di farro della Garfagnana



Ritorna da antiche diapositive la scheggia di tazza bianca blu azzurra che gli amici di Castelnuovo recuperarono in anni persi nel sogno e sfumati nella memoria, nella vasca della pieve, a Fosciana, sulle vie dei monti e sul fertile terrazzo che il Serchio grande e il piccolo bagnano, con i vasi di Garfagnana e di Lucca, i bronzi e i ferri, e le monete dei primi del Duecento. Tracce di viaggi per mare di mercanti pellegrini crociati, negli anni di Federico II e dei Comuni arditi e degli ultimi fideles dei monti, e dei loro domini.
E infine, venti e più anni passati, la tazza può colmarsi del buon farro della Garfagnana, minestra cotta alla araba come ci insegnano le ricette visive di al-Wasiti, fornello calderone coppe e vassoio, negli stessi anni. Risotti alla mesopotamica e farro dei monti, o forse bisognerebbe leggere al-Hariri, arduo in traduzione come nell'originale. Ma l'archeologo s'accontenta dei colori, e travestiti i personaggi d'Oriente – nobile dono di Gallica per i frequentatori affezionati del suo repertorio di glorie di Francia elargite al mondo – alla garfagnina, ritrova vita di sogno per la scheggia d'Oriente, e i suoi viaggi per mare e fiume e terra, dalla Siria a Pieve Fosciana.

domenica 30 settembre 2012

Gli ambigui segni dei pastori erranti dell'Appennino


Si inseguono nei secoli, come sulle vie dei fiumi che vedono le Apuane, segni etruschi di lingue etrusche, di qua o di là dell'Appennino, o leponzie, o misteriose, popoli che tutti bevevan birra, e amavano il vino.
I colori dell'Inghirami, rigenerati da Google, e l'Etrusca Erudizione dell'Ottocento, per la stele figlia del fiume e delle acque della Lunigiana, con nitidi caratteri dal senso oscuro, affannosi per l'Inghirami e il Micali e non meno per l'attuale etrusca erudizione; e akiu visto da Migliorini e Galli sulla lastra rivista in una fotocopia di cartolina, quasi un secolo fa, il Pianellone di San Romano di Garfagnana, la donna ligure-apuana (chissà come parente della Fanciulla di Vagli e della Zia di Levigliani) che se ne fece lastra per la sacra teca delle sue ceneri, che di akiu più non aveva contezza, mentre chi scrisse mezunemusius o che altro aveva contezza delle sacre stele dell'età remota.
Segni sacri, segni di morte, segni di possesso, sulle vie dei pastori che poi portavan la lana alla Murella e arrotondavano distillando pece nelle selve oscure.
Limpidi segni dell'Ottocento neoclassico, preziose tavole a colori per principi aristocratici borghesi colti qualche bibliotecario, il rapido volar di matita sulla lastra perduta in anni di guerra futurista, nell'attesa di nuovi segni.

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